CRONACA DELLA RICOSTRUZIONE DELLA MACCHINA DEL
TRIDUO
La ricostruzione della macchina del triduo ha inizio da otto
tavolati decorati con rilievi intagliati in legno di ottima qualità,
rifiniti in argento meccato. Otto parti, escludendo la cimasa e le
porte che adornano l’altare, di un sistema scenografico più
complesso. Questo è quanto è rimasto del grande
apparato del triduo ricordato dagli anziani del paese e da molti
forestieri che venivano ad ammirarlo. Questi pochi reperti ritrovati
hanno subito delle manomissioni a causa del deterioramento naturale e
per mano dell’uomo con l’asporto di alcune decorazioni, mentre
l’abbandono e l’incuria li a resi ancora più precari. La
prima fase operativa nasce dalla spontanea considerazione di
combinare i più evidenti segni di contatto tra le parti
decorate; i tavolati sui quali lavorare, di notevole dimensioni,
occupano tanto spazio e difficoltà di movimento, per
facilitare la ricomposizione viene utilizzata la tecnica fotografica.
Con l’aiuto delle stampe riprodotte e con la fantasia, si
è
sviluppata la ricerca dei possibili abbinamenti e l’elaborazione
di
nuove forme da integrare per il completamento, quindi, con lo
scambio e l’avvicendamento delle immagini a disposizione si
è
cercato di interpretare quale fosse l’assemblaggio originale. Per
seguire una corretta progettazione non poteva mancare la conoscenza
del luogo dove inserire l’apparato nello spazio chiesale, per cui
si è fatta una ricognizione tra il presbiterio e il coro e con
la percezione dei volumi si sono innalzate virtualmente le tavole
disponibili nell’area del loro futuro assetto. In soccorso a
questi
tentativi percettivi, in cui si è cercato di trovare memoria
della struttura originale, sono state interpellate alcune persone, un
tempo disponibili all’allestimento dell’arredo sacro, per
rintracciare qualche vago suggerimento sulla vera funzione della
macchina. Ma dell’apparato è rimasto solo il ricordo dello
spettacolo di luci e del folclore della manifestazione; niente che
porti ad un indizio per un riferimento di riqualificazione. In
sostituzione del mancato contributo di oggetti o parti e di
indicazioni sulla consistenza dell’estensione
dell’apparato, si è
dato spazio alla fantasia, da qui si è sviluppato in forme
concrete lo scenario espositivo in quattro comparti consecutivi.
L’intuizione primaria stava nel dare risalto al grande raggio
centrale, adeguatamente esaltato dagli ornati e decori che
tutt’attorno si estendevano sui tavolati. Il risultato raggiunto
con le prime bozze è un’ambientazione esteticamente
piacevole con percorsi strutturali e spaziali di effetto scenico
notevole. Durante la ricerca delle parti staccate, trasmigrate in
qualche altro strumento rituale, il primo progetto, che sembrava
consolidarsi, viene smentito dal ritrovamento della cassetta porta
ostensorio e dall’individuazione del suo vano corrispondente di
inserimento sia nel raggio più piccolo, sia nell’assito di
supporto. Queste nuove casuali hanno rimosso ogni probabile
precedente ipotesi di progetto, proprio perché il ruolo degli
assiti si è invertito, portando al centro quello che la
previsione proponeva come profilo esterno di riferimento alle pareti
murarie. Dopo le prime avvisaglie, la ricostruzione non può
che avere il suo punto focale nel vano dell’ostensorio sul quale
lo
sviluppo decorativo trova il suo cento di espansione e di
esaltazione. Nel contempo altri pezzi ritrovati qua e là,
usati per abbellire altri oggetti cerimoniali, strappati dallo stesso
apparato, hanno reso possibile interpretare con maggiore estensione
l’elaborato decorativo e spaziale dell’apparato.
Incorporata ogni
nuova parte nell’inusitato progetto, seguito dall’abbozzo
del
presunto assemblaggio dei tavolati esistenti, il progetto prosegue
con lo studio delle parti mancanti da aggiungere in successione,
senza trascurare la continuità decorativa suggerita da alcuni
pezzi recuperati. Si è giunti così ad uno schema di
composizione considerando il percorso con inizio dall’altare e
l’estensione nello spazio del coro. Con le varie proposte grafiche
apportate si è maturata la visione d’insieme per un progetto
definitivo che consideri con unità di valori l’ingombro
dell’apparato nella positura della sua impalcatura di sostegno
nello spazio del coro.
Alla decorazione è stata riservata una singolare attenzione
in quanto al suo comporsi è legato lo straordinario effetto
della scenografia. L’elaborato grafico inizia con alcuni schizzi
interpretativi per sollecitare l’immaginaria visione dell’insieme,
poi sono seguiti gli elaborati di contenuto per interpretare il
carattere del modello esistente e stabilire un’armonia tra le
parti; la cura dei dettagli ha permesso una corretta valutazione
della forma. Il disegno chiaroscurale, strumento espressivo che
permette di evidenziare le complesse variabili della forma, è
per il modellatore di argilla o l’intagliatore, il manuale che lo
indirizza alla perfetta interpretazione della proposta progettuale.
Sulla proposta grafica l’abile mano plasma la creta ed elabora
l’evolversi della forma nel rigoroso sviluppo dei volumi, fa
emergere in superficie il senso estetico ed espressivo già
insito nel segno grafico.
DAL PROGETTO ALLA RICOSTRUZIONE
Oltre agli otto tavolati originali, sistemati e restaurati nelle
loro parti, altri diciannove nuovi assiti sono stati aggiunti per
eguagliare il progetto nelle dimensioni ottimali dell’apparato. Per passare dal progetto alla fase esecutiva si sono proiettati i
disegni su grandi fogli di cellofan sui quali ottenere dei profili
essenziali in dimensioni reali. La trasparenza del materiale plastico
ha permesso di lavorare il modello destro e sinistro con un solo
disegno. Su questi fogli inizia la manipolazione dell’argilla, si
plasma la forma seguendo il tracciato esterno, si interpretano i
volumi, le evoluzioni delle girali, gli intrecci dei vegetali con le
cornici, il tutto sapientemente leggendo con conoscenza espressiva i
disegni chiaroscurali.
La costruzione plastica dei modelli in argilla si esprime
essenzialmente in due tecniche esecutive: la prima consiste nel
creare con il togliere, cioè definire la superficie, dopo
l’abbozzo, mediante l’asporto dell’argilla sovrabbondante con
le mani, i raschietti o le stecche; la seconda, procede
progressivamente rimettendo strato su strato e correggendo di volta
in volta lo sviluppo della forma nei suoi piccoli particolari. Una
domanda viene spontanea: perché questo lavoro preparatorio
sulle decorazioni eseguite con la creta? La procedura indicata è
dovuta ad un processo esecutivo che permette la realizzazione dei
rilievi scultorei in vetroresina. La scelta di questo materiale è
stata decisa dopo alcune valutazioni su quelle possibili da
utilizzare. Essa è leggera, resistente, adatta ad essere
manipolata da persone senza doti di grandi capacità tecniche;
qualità invece richiesta per plasmare le forme migliori in
creta. Ricorrere al tradizionale legno, oltre al costo e al tempo di
esecuzione, esso si avvale di alta perizia per l’intaglio; tale
qualifica non è recuperabile con facilità nel nostro
ambiente e il suo costo economico è elevato. Sul modello
provvisorio in argilla si crea lo stampo con il comune gesso di
scagliola. Con l’impasto gessoso si copre il modello in creta, lo
spessore varia a secondo delle dimensioni del soggetto e della
resistenza necessaria a sopportare le varie fasi di lavoro. Con
questa operazione si ottiene il calco o controforma o negativo;
pulito e isolato da una pellicola di cera esso è pronto a
ricevere il vetroresina. Nello stampo si stende il tessuto di vetro,
quindi, con un pennello intriso di resina si bagna e si preme il
tessuto fino a farlo aderire allo stampo. Una volta asciutto,
l’oggetto decorativo viene tolto dal modello; conclusa questa
operazione si passa all’assemblaggio dei rilievi sui tavolati. Per
mezzo dei disegni sul cellofan, si rinnovano le linee essenziali con
le quali determinare la corretta posizione delle decorazioni da
fissare bloccandole sulle tracce progettate. Completata la struttura
e ricomposta ogni parte decorativa, seguendo l’ordine di progetto,
si procede con i lavori di finitura delle superfici allo scopo di
raggiungere quell’importanza percettiva che abbellisce gli oggetti
nel loro effetto chiaroscurale e di colore. Con questa fase operativa
e le successive ci si appropria della tecnica tradizionale della
doratura; 1° impasto di gesso di Bologna e colla di pelli di
coniglio, stesa in più strati da formare uno spessore di 3-4
m/m di superficie finita; 2° levigatura uniforme e sottile sin
nelle pieghe più anguste da eseguire con raschietti e
cartavetro; 3° stesura del bolo: (argilla preparata con tecniche
speciali, si utilizza come cuscinetto morbido tra il gesso e la
foglia di metallo); 4° argentatura in foglia e per ultimo la
meccatura. La mecca è un composto di lacche a colori naturali,
di cui fa parte lo zafferano. Tecnica questa di grande effetto
cromatico, con la quale si sostituisce gradevolmente il metallo più
prezioso, l’oro. Questa tecnica è usata particolarmente su
strutture decorative soggette a continue operazioni di impiantistica,
come il nostro apparato, che vengono montate in occasioni di
particolari festività e subito dopo smantellate e rimesse in
deposito.
ALCUNI DATI TECNICI
L’argento utilizzato è pari a 7625 foglietti da 9x9 cm.
che, stesi su una superficie piana sviluppa 62 mq. , questa risulta
la superficie delle decorazioni calcolando l’estensione delle
girali, volute e modanature liberate dal volume e stese in piano.
Il vetroresina usato equivale a 100 mq. di tessuto di vetro e 75
lt. di resina con la quale si è costruito tutta la decorazione
nuova.
5 quintali di gesso di scagliola sono stati utilizzati per fare i
calchi dei modelli decorativi eseguiti in creta.
La creta, 40 chili, veniva recuperata dallo stampo e riutilizzata
per i successivi modelli.180 mq. sono le assi preincollate usate per
comporre le tavole mancanti dell’apparato e le strutture necessarie
per l’assemblaggio.
La struttura portante è realizzata in tubi dalmine
assemblata con morsetti e spine. L’impalcatura è stata
progettata con comodi percorsi di servizio e scale di accesso. Per la
realizzazione dell’impalcatura sono stati necessari 630 m. di tubi,
450 morsetti, 30 spine.
Tralasciando molte altre incombenze, per quanto riguarda la sola
ricostruzione esecutiva dell’apparato sono state impiegate 4500 ore
con la presenza media di tre persone.
L’apparato è composto da 31 parti o tavolati, distribuiti
su tre scene le quali si estendono dall’altare al coro. Di questi
tavolati 12 sono originali, i quattro che ornano l’altare risultano
ben conservati. Complessivamente l’apparato si sviluppa su 80 mq.
E’ illuminato da 228 candele sorrette da appositi supporti
forgiati nel metallo da mani artigiane..
RINGRAZIAMENTI
Con la presentazione della “macchina del Triduo” ai
parrocchiani il sabato sera 11 /11 /2001, quale responsabile del
recupero ho inteso introdurre la manifestazione inaugurale con una
traccia della storia dell’apparato e delle tecniche applicate. A
conclusione è stato per me un gesto doveroso ringraziare i
promotori e i collaboratori con le semplici parole che qui riporto.
Vorrei per primo esprimere la mia gratitudine al parroco don
Domenico che con amorevole senso dell’arte ha permesso la
ricostruzione di un pezzo di storia locale, e con le frequenti visite
in laboratorio prendeva emotivamente atto dell’evolversi dei
lavori.
A don Franco che spinto dal gusto delle tradizioni ha promosso
l’iniziativa e con gaie battute verbali di merito ha incoraggiato
gli operatori nel lungo percorso della ricostruzione.
Un ringraziamento alla santa pazienza delle mogli e familiari
poiché in un modo o nell’altro sono stati coinvolti nella
emotività di tanta fatica.
Un pensiero lo rivolgo anche a quelli che, pur col solo appoggio
morale hanno compreso, sin dall’inizio, lo scopo dell’impresa, e
a coloro che in seguito apprezzeranno il manufatto e manterranno viva
la tradizione nella funzione liturgica.
Devo fare atto di riconoscenza per un impegno straordinario a
coloro che hanno partecipato in stretta collaborazione, su diversi
livelli, e lavorato con esperienza tecnica e manuale alla
ricostruzione della macchina; riconoscenza più che morale, per
aver compreso il significato di questo strumento cerimoniale e
ravvisato nell’apparato il segno espressivo della cultura come
contrassegno della storia del nostro paese.
Tra questi devo citare:
- la ditta DIEMME la quale ci ha fornito il
vetroresina a prezzo di fabbrica e la preziosa consulenza tecnica
dell’uso della materia;
- la falegnameria RUGGERI per alcuni lavori strutturali
dell’impianto;
- il fotografo VINICIO il quale ci ha fornito le fotografie per la
documentazione durante le fasi operative della ricostruzione;
- MARIO BONERA, l’operatore video, il quale ha realizzato il
film, in parte gia visionato, e una cassetta video di tutte le fasi
operative;
non è da trascurare la disponibilità di un gruppo
di persone pronte in ogni occasione a prestare la loro opera, tra
questi:
BENEDETTO BONERA
DAVIDE PIETTA
GIULIO RODELLA
GIAMPIERO ZANETTI
DAMIANO GREGORELLI
GIUSEPPE LUSSIGNOLI
GIUSEPPE TEDOLDI.
RINO FRANZONI attento e solerte nel procurare quanto necessario
al procedere dell’opera intrapresa;
GIAMPIETRO NICOLINI per la collaborazione grafica computerizzata
della progettazione della macchina triduale.
A tre giovani intraprendenti con i quali si è dato corso e animato le
prime fasi della ricostruzione:
SIMONE FERRARI, ELISA RUSSO, LEONARDO GREGORELLI
E per ultimo, un particolare grazie a tre indispensabili presenze:
DARIO BONERA per la sua impareggiabile manualità plastica nel
realizzare i modelli utilizzati per la decorazione;
RENZO BONERA per
l’indiscutibile apporto operativo nell'elaborazione dei modelli in
resina e tante altre fasi d'assemblaggio; GIUSEPPE ARCHETTI per la
sua paziente e costante presenza operativa e la collaborazione
prestata a diversi livelli.
|