Si concludono in questi giorni, in concomitanza con la festa patronale della Conversione di S. Paolo e a poco più di un anno dall’apertura del cantiere , i lavori di restauro degli affreschi e degli apparati decorativi all’interno della Chiesa parrocchiale di Collebeato.
Le opere, affidate alla Ditta Techne Restauri, sono stati eseguite secondo le indicazioni dell’Arch. Marco Fasser della Soprintendenza di Brescia, dall’équipe coordinata da Michele Massarelli e ing. Sandro Guerrini ci hanno riconsegnato le superfici dipinte e gli stucchi con l’originario equilibrio degli accordi cromatici, pensati e realizzati tra il 1910 ed il 1937 dai pittori bresciani Gaetano Cresseri, Giuseppe Trainini ed Angelo Rubagotti e dallo stuccatore Francesco Peduzzi, discendente da un’antica famiglia della Valle d’Intelvi.
L’intervento di restauro ora felicemente concluso si rivelò particolarmente delicato fin dalle prime fasi progettuali, soprattutto nei confronti degli affreschi di Gaetano Cresseri. I dipinti sono eseguiti con una invidiabile – ma delicatissima – tecnica ad affresco, memore della scuola sette-ottocentesca, che viene plasticamente esaltata da finiture a secco e da ampie campiture a colori scuri.
Con superfici simili una pulitura tradizionale con spugne wishab o con solventi anche molto blandi può provocare abrasioni o impastamenti.
Intorno all’impresa decorativa della prima cupola – quella sopra il presbiterio – si conserva una ricca documentazione nell’Archivio parrocchiale del paese e Domenico Andreoli ha saputo riproporla con una intensa partecipazione emotiva che coinvolge chi legge il suo bel volume del 2011 dal titolo “Il sacro a Collebeato”.
Possiamo così seguire il cantiere nella faticosa fase dell’ideazione del soggetto (aprile-agosto 1910), voluto dal Parroco Don Giovanni Quaranta che scelse il “Trionfo dell’Eucarestia alla presenza dei Santi Tommaso d’Aquino e Bonaventura da Bagnoregio intenti a scrivere l’officiatura del Corpus Domini”.
L’agognata stesura del primo intonaco e la trascrizione dei primi cartoni iniziarono però solo il 17 ottobre di quell’anno: la stagione fredda – micidiale per la tecnica ad affresco – si avvicinava a grandi passi ed il Cresseri era stato latitante perché impegnato a Vilminore.
Si giunse così a concludere le ultime immagini degli Evangelisti, contenute nei pennacchi, il 26 novembre, dopo aver scaldato artificialmente il cantiere con fuochi improvvisati e con la comprensibile trepidazione del Parroco che scriveva nel suo diario “ … con due giorni di lavoro per ogni Evangelista, il tutto sarà finito il 26 – Avranno il merito di aver superato la prova del fuoco”.
Altro discorso riguarda la tecnica impiegata da Angelo Rubagotti nel resto della Chiesa, cioè nella calotta centrale con la raffigurazione di “S. Paolo che predica nell’Aeropago di Atene” e nelle due medaglie più piccole, rappresentanti il “Martirio di S. Paolo” e la “Gloria dei Santi Vito, Modesto e Crescenzia”.
Dopo un’attenta e prolungata analisi di alcuni progetti e dei relativi costi, l’artista venne preferito (anche per le più miti pretese economiche) a Vittorio Trainini, a favore del quale si era espresso invece Mons. Paolo Guerrini, allora Presidente della Commissione diocesana di arte sacra, affermando “ … Rubagotti Angelo di Coccaglio sembra soverchiante e farraginoso, discostante dallo stile della chiesa. Nulla da eccepire dai tre bozzetti del Trainini, ma si preferisce il primo perché più semplice e consono alla semplicità delle linee architettoniche della chiesa”.
Eravamo ormai tra il 1936 ed il 1937 e nelle cromie e nei tratti disegnativi si può oggi constatare – ad un esame ravvicinato e con una certa sorpresa – l’inquietante, schematica e silenziosa desolazione delle composizioni di De Chirico e delle architetture di Marcello Piacentini.
Chi visita la Chiesa parrocchiale di Collebeato in questi giorni è avvolto dalla calda luminosità degli stucchi, che imitano il Botticino nei capitelli e nelle parti plastiche e la Breccia Aurora nelle membrature architettoniche, ed è invitato a volgere lo sguardo verso l’alto, per perdersi nei luminosi cieli delle cupole e della volta.
Dopo le opere di restauro, risulta visivamente più proporzionata la spazialità dell’edificio sacro che venne riorganizzato da Carlo Melchiotti nel 1895, con l’inserimento di una nuova navata sul presbiterio ellittico barocco del 1744. Il mosso disegno settecentesco dell’organismo originario si deve probabilmente al comasco Antonio Corbellini (che progettò anche il Santuario della Calvarola) ed ora è ritornato a pulsare.
Ci si accorge adesso anche della presenza di alcune importanti opere pittoriche distribuite sulle pareti, dalla pala dell’altar maggiore firmata da Giovan Battista Galeazzi nel 1607 (all’interno della soasa marmorea del 1903), alle tele di Antonio Gandino ( dipinto del 1625, veramente bellissimo, con la “Madonna con il Bambino e i Santi Antonio Abate, Francesco d’Assisi e Carlo Borromeo”), di Antonio Dusi (un ancora acerbo “S. Luigi Gonzaga” firmato nel 1754), di Giovan Battista Galeazzi (interessante copia della pala eucaristica del Moretto per la Chiesa cittadina dei Santi Nazaro e Celso), di Antonio Paglia (i “Santi Lorenzo e Cecilia che venerano la Madonna con il Bambino”, dal delicato gioco cromatico imperniato sui toni del grigio) e di Giovan Battista Sassi (un pirotecnico e declamatorio “S. Alessandro Martire).
Inutile poi ricordare i vibranti e venezianissimi ex voto di Pietro Scalvini che tramandano il ricordo di alcuni miracoli della Madonna della Calvarola e della Madonna di S. Luca dell’altare delle Reliquie.
Viva la soddisfazione del Parroco Don Roberto Guardini che da anni si dedica con sensibilità, entusiasmo ed impegno al recupero del patrimonio artistico – ma soprattutto religioso e spirituale – della Comunità.
f.to ing. Sandro Guerrini